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Policy privacy
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PRIVACY: I
COMPUTERS AZIENDALI CONTROLLANO I PROPRI IMPIEGATI
Non si spiano i dipendenti,
non senza avvisarli almeno, e l'Autorità per la privacy apre
un'inchiesta per capire meglio cosa sta succedendo.
Nei giorni scorsi si è appreso
infatti che sarebbero decine di migliaia, anche in Italia, i computer
aziendali che controllano come i propri impiegati utilizzano Internet in
orario di lavoro. "In relazione alla questione dei controlli sui
lavoratori attraverso un software che consentirebbe alle aziende di
monitorare l'accesso alle reti telematiche da parte di dipendenti che
utilizzano computer, l'Autorità garante per la protezione dei dati
personali rende nota la decisione, assunta nella riunione di ieri, di
aver avviato accertamenti e di aver chiesto alla società distributrice
del software e alle aziende che ne farebbero uso, ogni notizia ed
informazione utile per una piena valutazione del caso" recita un
comunicato a firma del responsabile dell'ufficio Stefano Rodotà.
Quello che si sa già con certezza è che ventimila pc sono monitorati
grazie al software WebSense, uno dei più diffusi nel mondo, che consente
di rendere inaccessibili certi siti giudicati sconvenienti oppure di
permettere qualsiasi navigazione però monitorandola ed eventualmente
sanzionando il dipendente che vagabonda troppo per motivi non attinenti
al lavoro. La decisione di "spiare" i propri impiegati è stata presa nel
nostro Paese da molte grosse aziende. Fiat, ad esempio, ha installato il
software contestato su 5000 postazioni (escludendo l'accesso a tutto ciò
che ha a che fare con pornografia, droga e razzismo) e anche la banca
Sella ha adottato una politica analoga. Ma la notizia ha
comprensibilmente scatenato le preoccupazioni di violazioni della
privacy dei sorvegliati: "Cosa scoprirà sul mio conto il datore di
lavoro se ogni giorno vedrà che frequento il sito di un certo partito o
quello che rivela una mia particolare propensione sessuale?".
Il
lavoratore deve sempre essere avvertito prima, senza consenso spiare è
illegale
Parla il garante per
la privacy Stefano Rodotà
"E' una notizia importante e
ne discuteremo senz'altro domattina nella riunone dell'ufficio, ma così
a prima vista direi che questa del controllo della navigazione in Rete è
una questione che solleva subito degli interrogativi".
Stefano Rodotà, Garante della Privacy degli italiani focalizza "tre
profili" principali che ruotano attorno ai diritti del lavoratore e a
quelli della protezione dei dati personali. "Per ora le mie sono
semplici considerazioni legate a quanto mi state spiegando, certo
bisognerebbe conoscere di più di questi software e programmi - dice
Rodotà - e chiarire se i dipendenti sono stati informati che esiste una
forma di controllo e un'eventuale registrazione di dati".
Quali sono questi "profili", professor Rodotà?
"Il primo aspetto potrebbe essere quello che riguarda l'articolo 15
della Costituzione che garantisce la libertà e segretezza delle
comunicazioni personali. Poi c'è la questione dello Statuto dei
lavoratori. L'articolo 8 vieta la raccolta di informazioni sulle
opinioni dei dipendenti e l'articolo 4 il controllo a distanza se non
con un accordo sindacale e di cui siano stati informati i diretti
interessati".
E qual è il legame con Internet?
"Internet in questo senso potrebbe essere interpretato come controllo a
distanza, perché il monitoraggio delle tue frequentazioni può fornire a
chi lo effettua caratteristiche della tua personalità. Tutto ciò è
materia che non riguarda tanto il nostro ufficio quanto l'Ispettorato
del lavoro ed eventualmente le procure nel caso fossero riscontrate
violazioni. Certo noi chiederemo chiarimenti alle aziende per sapere se
queste installazioni siano state fatte con trasparenza".
Chi ha acquistato questi programmi sostiene però che il computer è
strumento di lavoro e quindi il suo utilizzo deve essere vincolato.
"In effetti credo che entro certi limiti sia un'osservazione corretta.
Se l'azienda stabilisce ad esempio di bloccare l'accesso a determinati
siti e lo dice all'impiegato, può farlo. Ma quello che mi chiedo è: se
viene registrato anche il semplice tentativo di ingresso a questi
indirizzi proibiti? Già questa sarebbe una violazione alla legge sulla
tutela dei dati personali di cui si occupa il garante. A questo punto
ogni lavoratore ha il diritto di andare dal suo datore e chiedergli
quali siano le informazioni raccolte su di lui e quale utilizzo ne viene
fatto. In definitiva penso che il problema di Internet sia quello di
riuscire a far sì che programmi e software vengano utilizzati
liberamente ma all'interno di quel quadro di garanzie.
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